giovedì 21 gennaio 2016

IL LAVORO AL TEMPO DEL JOBS ACT

Questo il titolo di una iniziativa che si è tenuta a Finale Emilia il 18 Gennaio scorso, presso la Sala Consigliare di Via della Rinascita e questo articolo ne rappresenta una sintesi.L'iniziativa è stata promossa dalle rappresentanze sindacali unitarie ed ha visto la partecipazione di esperti giuristi, di sindacalisti e di lavoratori. Scopo dell'incontro era quello di dare voce a chi vive quotidianamente i problemi del lavoro e le condizioni di ricatto e vulnerabilità causate dalla crisi e dalle riforme introdotte dai governi degli ultimi anni.

Drammatica la situazione occupazionale del territorio di Finale Emilia in cui, se si escludono alcune realtà produttive in timida ripresa, si registra una disoccupazione del 7,9% (dati Centro per l'Impiego) in generale e del 27,4% nella fascia giovanile fino ai 29 anni. Causa principale la crisi economica che perdura dal 2008, a cui si aggiugono gli effetti del terremoto del 2012. Il profilo del disoccupato nel nostro Comune è: "giovane, donna, con licenza di scuola media inferiore".
Anche laddove si riscontrano investimenti e aumento della produzione, questi non determinano un aumento della occupazione, in quanto si ricorre sempre più spesso al lavoro straordinario e alla automazione.
Tutte negative le valutazioni nel merito delle riforme attuate dal Governo Renzi, a partire dalla cosiddetta "Buona Scuola" fino al "Jobs Act".
I relatori presenti sono stati concordi nel ritenere che la realtà è molto diversa da quella che quotidianamente ci viene propinata dai mezzi di informazione: nonostante le agevolazioni in termini di sgravi fiscali e contributivi previste dal contratto a tutele crescenti, si preferisce assumere a tempo determinato. A riprova che l'ostacolo non era di certo l' art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e la limitazione della possibilità di licenziamento: la sua abolizione di fatto non ha determinato un significativo aumento dei posti di lavoro. Piuttosto ha reso ricattabile e insicuro il lavoratore.
Il lavoratore viene considerato un costo da ridurre il più possibile, un fastidio di cui liberarsi. Con l'abolizione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori si è definitivamente abbandonata la filosofia che riconosce al lavoratore, all'interno del mondo del lavoro, i diritti civili di cui gode anche fuori da quel mondo. Invece di sopprimere questi diritti uno ad uno si è preferito demolire l'architrave che li sosteneva: il diritto a non essere licenziati, se non per giusta causa, rendendo così il lavoratore ricattabile. Se a questo si aggiunge la diminuzione delle tutele in caso di perdita del lavoro, i cosiddetti ammortizzatori sociali, ci si rende conto come la disciplina del diritto del lavoro stia scomparendo per lasciare posto ad una sorta di moderno neofeudalesimo: sicurezza e protezione elargita in cambio di servilismo e fedeltà. Nascono così i contratti aziendali che derogano e talvolta addirittura non tengono alcun conto dei contratti nazionali e delle leggi. Gli aumenti salariali vengono sempre e solo legati al merito, nasce il welfare aziendale che si sostituisce al welfare statale, sempre più depauperato di risorse, fino a sembrare inefficiente se non addirittura dannoso (si vedano i presunti casi di malasanità abilmente portati all'attenzione dei cittadini dal tam tam mediatico, o la campagna di denigrazione dei dipendenti pubblici iniziata da Brunetta e proseguita da Renzi). Per la prima volta da anni stiamo registrando nella nostra Regione licenziamenti di delegati sindacali in corso di trattative aziendali, con un attacco inaudito alla democrazia rappresentativa e partecipata all'interno dei luoghi di lavoro.
Cosa fare per contrastare la nascita di un protettorato privato di tipo feudatario?
Molte e buone le proposte uscite dall'incontro. A cominciare dalla assoluta necessità di rinnovare i contratti nazionali scaduti e in scadenza, per delineare una cornice e un livello al di sotto del quale non si possa andare. Per uscire dalla dimensione aziendale e ritornare a quella nazionale, dalla lotta di categoria alla lotta di classe. Forze sindacali e politiche non devono lasciare solo il lavoratore ad affrontare il mondo imprenditoriale in un rapporto di tipo individuale, ma devono ritornare ad organizzare i lavoratori e a rappresentarli, per ridurre il divario tra forza-capitale e forza-lavoro. E devono promuovere e riscrivere un nuovo Statuto dei Lavoratori, che ponga al centro della questione il lavoratore e i suoi diritti civili. Una strada lunga, che incontrerà molti ostacoli, ma che è l'unica percorribile per arginare l' impennata autoritaria delle forze del capitale.
Una strada che dovrà necessariamente convolgere tutti. 


Dalla Gazzetta di Modena del 20 gennaio 2016
LA DISOCCUPAZIONE NELLA BASSA È DONNA
Finale. Il bilancio dei sindacati: lavoro più precario dopo il Jobs act, ci rimettono le più giovani
Com'è il lavoro nella Bassa al tempo del Jobs Act? Una domanda, a cui si è cercato di dare risposte concrete e reali, lunedì al Maf di Finale. Un'assemblea pubblica, per parlare degli effetti della riforma del lavoro del governo Renzi, alla presenza di diversi rappresentanti sindacali di Fiom-Cgil, e di chi, tra loro, ha subito le conseguenze del Jobs Act sulla propria pelle. A fornire un quadro preciso, tecnicamente e storicamente, è stato anzitutto il prof Alleva, consigliere regionale. Mauro Presini, maestro elementare ed Rsu in una scuola di Ferrara, ha denunciato come «questa nuova legge non abbia riformato il sistema d'istruzione, ma spazzato via l'idea di scuola democratica, a favore di una scuola individualista». Emblematico poi, il caso di Luca Fiorini, Rsu presso la multinazionale Lyondel Basell di Ferrara, e licenziato ad inizio gennaio «per aver espresso la mia opinione nel corso di una trattativa sindacale, in difesa del diritto dei lavoratori ad avere un confronto con l'impresa, che invece oggi dispone di loro in maniera totale».
Tutti insieme hanno rivendicato il diritto di «ridare voce ai lavoratori, che mai come in questo momento, hanno subito un attacco così forte».
Tanti gli spunti di riflessione emersi, tra i quali, lo stato occupazionale attuale della Bassa: «La crisi economica del 2008, ha portato oggi ad un calo dell' occupazione anche qui - asserisce Erminio Veronesi, coordinatore Cgil Area Nord - e nonostante tante imprese siano riuscite a superare il terribile sisma del 2012, il Jobs act è una nuova ferita per questa terra, perché ha aumentato la precarietà del lavoro. Se il tasso di disoccupazione provinciale era del 3,3 % nel 2008, oggi è del 7,9. La disoccupazione giovanile poi, è passata da un 18,3% nel 2013, ad un 27,4 nel 2014; 10 punti in più in un anno. E il drastico calo del contratto d'apprendistato, a favore del 77% d'utilizzo del contratto a termine, favorito dal Jobs Act, ha ulteriormente precarizzato il mondo del lavoro. Oggi i disoccupati "tipo" dell'Area Nord, sono proprio i giovani e le donne».
Veronesi ha quindi analizzato la situazione economica, sia del comparto biomedicale del mirandolese, che di quello metalmeccanico e ceramico, di Finale: «Tra il 2008 e il 2014, il biomedicale ha avuto una crescita del 3,8 %, mentre il settore metalmeccanico un calo del 2%.
Ma non mancano oggi nel finalese, i segnali positivi. Per la J Colors, il piano di ricostruzione è di 7 milioni di euro, per l'Ansa Marmitte sono previste 150 nuove assunzioni e il futuro della Casoni, è nelle mani di un pool di finalesi. Quanto al settore ceramico, anche l'Atlas Concorde farà 17 ulteriori assunzioni.
L'unica criticità, viene dall' Ex Zuccherificio di Massa Finalese, per i cui 30 lavoratori si prospetta invece un futuro incerto».

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