In economia, come in medicina, la stessa cura non vale sempre nel
tempo, dipende dallo stadio della malattia e dalle condizioni del malato.
Negli anni sessanta guardando
l’Italia, ma anche l’area di quella Europa che sarebbe diventata Comunitaria,
si pensò che la costruzione di grandi infrastrutture autostradali sarebbe stata
la cura, dopo la guerra, idonea per un rilancio economico stabile e duraturo.
Che la cosa fosse solo parzialmente vera venne messa in evidenza dalla crisi petrolifera degli
anni 70/80. Già a quelle prime avvisaglie molti economisti, ma non solo,
incominciarono a mandare segnali alla classe politica che la medicina, buona
per gli anni sessanta, nel futuro non avrebbe più garantito la salute del
soggetto in cura (Italia e Europa Comunitaria) e che, per tempo, si sarebbe dovuto approntare un nuovo
“sistema immunitario” per contrastare “l’epidemia” in arrivo. Per quanto
riguarda il settore trasportistico l’Europa Comunitaria nel 2001 individuò il
“ceppo del virus” che stava già contagiando la nostra economia e che risiedeva
nel sistema di trasporti di persone e merci per le lunghe distanze che si
basava sostanzialmente sulla gomma. Sistema che incideva fortemente sul costo
finale del prodotto in quanto troppo impattante dal punto di vista economico ed
ambientale, urgeva quindi cambiare sostanzialmente adottando metodi di
trasporto meno impattanti quali il trasporto su ferrovia e su acqua (vie
navigabili interne e marittime).
Nel documento della Commissione
Trasporti della Comunità Europea (Libro Bianco 2001 e suoi aggiornamenti del
2006 e 2010) veniva sintetizzato questo concetto e veniva anche esplicitamente
scritto che da quel momento in poi la Comunità Europea non avrebbe più
finanziato opere autostradali per le motivazioni sopra riportate.
C’è da dire che anche chi
governava la Regione Emilia-Romagna in quegli anni e negli anni successivi
(sempre gli stessi) ebbe una intuizione sul
problema e la concretizzò con l’approntamento
del PRIT 98/2010 salvo poi disattenderlo nella parte operativa con una azione
che andava in direzione diametralmente opposta ai concetti espressi (a tale proposito
si legga la VALSAT inerente al PRIT stesso). Dal 2001 ai giorni nostri è stato un fiorire, in Emilia Romagna, di
progetti autostradali nuovi e di trasformazione di quelle già presenti quali:
Cispadana, Ferrara mare, E55 (Romea), la E45 (Cesena-Orte), TI.BRE, Bretella
Campogalliano-Sassuolo, Passante Nord di Bologna, Variante di valico, 4^ corsia
Bologna-Modena e proseguimento fino a Piacenza, 3^ corsia A14 da Bologna a Rimini
e suo proseguimento, 3^ corsia della A22 da Modena a Verona.
In sostanza, nonostante gli
avvertimenti degli esperti, i “medici/stregoni” locali hanno continuato, e
continuano ancora oggi, a prescrivere la stessa medicina nonostante le
condizioni di salute dell’ammalato continui a peggiorare. A nessuno di questi “medici/stregoni”
è passata per la mente l’idea che forse è da rivedere la medicina fin qui usata
che molto probabilmente non è più adatta a fronteggiare la malattia. Questo lo
si è visto ancora una volta nel convegno del 22 luglio scorso promosso dalla
Società Autobrennero a Modena dove, ancora una volta, si è ribadita la bontà
della medicina sin qui adottata (“le
autostrade servono per un rilancio economico dei territori interessati !”) e si
sono chiesti finanziamenti per continuare a somministrarla.
C’è bisogno, dopo troppo tempo, che chi ha veramente a cuore la sorte
del “malato” si ponga la domanda se questi “medici/stregoni” sono all’altezza
della situazione o è meglio provare a cambiarli prima che sia troppo tardi.
Silvano Tagliavini
Portavoce Coordinamento cispadano NO autostrada
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